L’inizio degli anni 80 ha segnato una svolta importante nella storia del vino italiano: E’ incominciata l’epoca della nuova enologia. Un cambio deciso, che ha portato alla razionalizzazione della cantina attraverso strumenti, metodi e macchine utili a produrre vino in maniera più “igienica” rispetto a quanto si faceva prima. Sono apparse le prime vendemmiatrici automatiche, le presse automatiche, i vinificatori a temperatura controllata. Si sono adottate pratiche enologiche innovative basate sull’uso di lieviti selezionati e seguite dall’utilizzo, in fase di vinificazione, di antiossidanti e di solforose. L’Italia del vino è così entrata in una fase dell’evoluzione tecnologica nella quale si sono conosciuti anche vini diversi rispetto al passato, vini che esprimono in maniera più decisa un gusto cosiddetto “internazionale”. L’esatto contrario, insomma, di quello che accade ancora oggi in Francia. Quei produttori d’oltralpe, infatti, non hanno mai trascurato la peculiarità territoriale, e sono ormai più di tre secoli che continuano, con tenace rispetto della tradizione e delle specificità, a coltivare il gusto del terrori, preoccupandosi più del vigneto che della cantina. Anche in Italia, per fortuna, esiste uno zoccolo duro, seppure in netta minoranza, che tiene saldo e difende il principio del “niente che non sia inerente”, vinificando pertanto mosti senza l’aggiunta di lieviti selezionati o perlomeno selezionati da sé nel territorio, con pochissima aggiunta di solforosa, cercando altresì di toccare il meno possibile quello che la natura ti ha dato. Noi difendiamo questi ultimi per il semplice fatto che, solo proseguendo su questa strada, potremo avere vini più genuini e peculiari, creati nel rispetto dell’uomo e del suo ambiente.

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