Si è svolta questo febbraio a Ca’ Corner una tavola rotonda sulla considerazione dei critici gastronomici verso le carte dei vini redatte dai ristoratori, incontro sponsorizzato da "La Strada dei Vini D.O.C. Lison e Pramaggiore". In cattedra noti nomi del giornalismo enogastronomico del calibro di Paolo Marchi, Enzo Vizzari, Claudio Demin, Riccardo Penso, Fabio Piccoli e l'amico Dino Marchi, presidente dell'A.I. Sommellier Veneto, forse a mio avviso l'unico titolato a dir qualcosa sull'argomento, avendo gestito per anni un ristorante, a fianco di auditori, allievi, addetti al settore della ristorazione e di osti di ogni genere. Sì, perché il gusto di un "Oste" vale più di una qualsiasi guida! Da anni incito osti e ristoratori affinché si riapproprino del diritto-dovere di selezione, senza affidarsi in misura pressoché esclusiva al giudizio di guide più o meno rinomate. Allo stesso tempo da anni invito i produttori a sforzarsi di promuovere il loro vino direttamente presso osti e ristoratori, attraverso contatti diretti per mezzo di assaggi, degustazioni e quant'altro sia utile alla conoscenza dei loro prodotti.Vedo il mondo dell'enogastronomia come una catena di anelli collegati tra loro, dove troviamo vignaioli, osti, ristoratori, consumatori e clienti; il punto dolente a mio avviso sta nel mezzo, negli osti e nei ristoratori, che si affidano eccessivamente ai giornalisti enogastronomici, i quali, con i propri gusti del tutto soggettivi nonché opinabilissimi, finiscono per influire eccessivamente sulle scelte dei professionisti della ristorazione. Non penso che un ristoratore di Venezia, quando va al mercato per comprare il pesce fresco, si affidi ad una guida (anche perché non ce ne sono…) o alla pubblicità; userà la sua esperienza nella scelta del meglio, come qualsiasi altro professionista del settore che sa scegliere la carne o il formaggio migliori secondo precisi criteri di qualità-quantità-prezzo. Sul fronte del vino, l'oste ha equivalenti, ottime possibilità, in quanto il consumatore, più che per molti altri prodotti gastronomici, quasi sempre quando beve un buon bicchiere di vino afferma: «Questo vino è buono e mi piace», mentre assai più difficilmente arriverà ad affermare che «questo vino è sconosciuto e quindi non lo bevo!». Non ci si venga a dire, allora, che un oste è succube della domanda perché il cliente è in ostaggio mentale delle guide. La domanda di vini ‘votati’ dalle cosiddette bibbie enologiche, infatti, non supera il 10% del monte complessivo; il rimanente 90% va imputato all’esclusiva proposta degli Osti, fondata sul rapporto di fiducia con il consumatore finale. Certo, la proposta deve essere supportata da conoscenza ed amor proprio. L’Oste dev'essere come quel cuoco della Riviera Romagnola che va a scegliere il pesce in pescheria e sa distinguere un Branzino dell'Adriatico da uno allevato nelle Valli, o da un altro ancora che arriva dai mari di Francia. Un appello, quindi, a tutti i colleghi: muoviamoci, visitiamo le cantine e i vigneti, assaggiamo, beviamo, discutiamo; solo così il Vino ci sarà più vicino. Non mi resta allora in conclusione che lanciare ufficialmente una proposta per il prossimo futuro: una top ten dei vini redatta per categoria, per monovitigno, per uvaggio, per taglio, senza punteggi, fatta dagli Osti e pubblicata ogni fine anno, con i nomi dei migliori produttori. Ribadisco, senza voti dei migliori vini, in ossequio alla religiosa soggettività del gusto di chi assaggia e di chi… beve.

Venezia News marzo, 2011

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