Dal mio osservatorio di prima linea, dietro al bancone di osteria-enoteca da più 30 anni, so che il cliente, il commensale, il consumatore e lamante del vino, capirà e distinguerà il vino buono da quello meno buono.

Nel mondo enoico, dalla comparsa in cantina di una figura importante, quale l'enologo, si sono rivoluzionate le pratiche del fare-pensare il vino. Prima dei grandi commerci, agli inizi degli anni 70, la produzione del vino era affidata perlopiù a grandi cantine sociali e a cantine private, che fungevano più da vinicola che da azienda agricola; acquistavano uve dai vari contadini, in territori diversi, e fungevano da vinificatori, commercianti e distributori. Il maestro Luigi Veronelli, tutore dei vignaioli storici, iniziò nei primi anni 80 a spronare i contadini di sua affezione a farsi il vino da soli, con pratiche tramandate, e a commercializzarlo in proprio; scelta che a tutt'oggi si rivela condivisa con soddisfazione da grandi piccoli vigneron, seguendo lo slogan è meglio il peggior vino di contadino che il miglior vino d'industria... mitico aforisma Veronelliano. E qui ci siamo: nel mondo contadino, sia antico che moderno, si sono formati due partiti. A) gli innovatori, B) i tradizionalisti. 

Gli innovatori: 

  1. Hanno razionalizzato il vigneto infittendo le piante con cloni di vivaio. 
  2. Per combattere intemperie e malattie della vite e dell'uva utilizzano fitofarmaci di sintesi e/o diserbanti. 
  3. In cantina, nella trasformazione dell'uva in vino, usano lieviti selezionati, enzimi e solforose... I risultati a livello organolettico possono arrivare ad essere ottimi, anche se si potranno sollevare alcuni dubbi sulla genuinità. 

I tradizionalisti: 

  1. Hanno parzialmente rinnovato il vigneto per necessità anagrafica, utilizzando però marze e/o barbatelle non di vivaio, ma del proprio terroir. 
  2. Per difendere la vite e l'uva da agenti atmosferici usano pratiche arcaiche, vicine alla scuola di pensiero del biologico e del biodinamico usando composti omeopatici, falciando lerba ed evitando diserbanti, e per l'uva solo verde-rame. 
  3. in cantina le uve son vinificate con macerazioni più o meno prolungate e le fermentazioni avvengono con lieviti propri o indigeni, che governano la fermentazione con facilità, trovandosi a disposizione mosti privi di presenza farmacologica; i lieviti indigeniti (presenti nella buccia dell'uva) porteranno la trasformazione dell'uva in vino. 

Gli innovatori sono quindi costretti ad usare i lieviti selezionati accompagnati da enzimi e batteri di laboratorio, pena il non riuscire a completare la fermentazione dei mosti a disposizione, perché condizionati dagli agenti chimici usati precedentemente nel terreno ed in vigna, arrivati fino al grappolo, inibitori della fermentazione naturale: ecco perché si arriva ai lieviti selezionati, abituati a lavorare in condizioni modificate. I risultati di questi ultimi non sono propriamente disastrosi, ma essendo vini elaborati necessitano di ulteriori protezioni antiossidanti. Ecco perché si arriva infine ad aggiungere copiosamente in diverse fasi lanidride solforosa, che aggiunta alla chimica di cui sopra, di certo non rappresenta il massimo per la salute!

E  innegabile che le bollicine tutte, partendo dal prestigioso champagne al più umile Prosecco, hanno da oltre mezzo secolo un successo intramontabile anche se, nei recenti consumi di vino, ci sono delle leggere flessioni che coinvolgono anche le amate bollicine, vuoi perché se ne produce in quantità maggiore, o perché il vino con le bollicine assomiglia sempre di più ad una bevanda alcolica che ad un vero vino, più vicino al profumiere che al cantiniere. Il vitigno Prosecco, prodotto nella zona di Conegliano - Valdobbiadene, è, per gli appassionati di vino e noi wine-bevars (bevitori), un compagno di viaggio. Chi, essendo tale,  lo frequenta da sempre, si è accorto che da diversi anni questo amico è cambiato, non è più lo stesso, ha subito delle modificazioni di carattere, dovute più alle impostazioni esterne,  che al vero gusto e alle peculiarità dei suoi cromosomi.

Vorremmo ritrovare il prosecco del gusto perduto.

Noi, Uno, Nessuno, centomila, che amiamo il Prosecco-vero. Lo preferiamo COL FONDO, come quello che veniva caraffato e non scaraffato, come arringava ai Sommeliers il mitico Angelo Serafin, primo presidente dell'A.I.S. Veneto negli anni 70, ed inventore dell'allora marchio SUR-LIE, ora approvato come dizione scritta nel regolamento di vinificazione. Gode di grande successo nelle tavole dei ristoranti con cucina e specialità di pesce, era ed è tuttora irrinunciabile avere in tavola una caraffa di Prosecco, ma, nella migliore delle ipotesi, il Prosecco, se è prosecco, ci arriverà in caraffa con laggiunta di azoto, se non con CO2 (anidride carbonica), da malefiche spine usate per la COCA-COLA.

Si usava la caraffa per decantare il prosecco davanti al cliente, per staccare il sedimento o il fondo di lieviti nobili (ai puristi piace bere pure il fondo e torbido), ma siccome è difficile e si perde un po di tempo, per i camerieri frettolosi è più comodo usare le spine che le bottiglie da mescere e decantare.

Dal mio osservatorio di prima linea, dietro al bancone di osteria-enoteca da più 30 anni, il cliente, il commensale, il consumatore e lamante del vino, capisce e distinguerà  il vino buono da quello meno buono, attraverso bevute e confronti, farà paragoni, ci chiederà e gli sarà proposto il prosecco col fondo, quello più giallo, con le bollicine, più digeribile, che deriva da basi di prosecco meno magre. Se si beve in abbondanza e cè poca solforosa libera, il giorno dopo non si avrà il mal di testa e si starà bene anche di stomaco.

Ci sono produttori di vino, osti,  ristoratori che si preoccupano, ora più di prima, della salute del cliente consumatore e che con rinnovato impegno, forti di esperienze vecchie e nuove, cercano di produrre vino con la minor manipolazione possibile, nel senso che: cercheranno di non togliere o aggiungere niente che non sia inerente durante la trasformazione delluva in vino!

I solfiti aggiunti nel vino e in chi lo beve provocano allergie, vampate di calore, bruciori di stomaco e mal di testa. Per Noi amanti bevitori Wines Bevars, è del tutto insopportabile! Non si deve avere un approccio al vino solo per quanto concerne laspetto organolettico. Il vino oltre al gusto non deve corrispondere a tutti i costi ad un canone di gusto ufficializzato. E possibile produrre vini che abbiano una buona digeribilità, bevibilità e che diano benessere corporeo e mentale, cosa altrettanto importante oltre al  concetto puramente degustativo che magari non corrisponde ai canoni ortodossi dei degustatori di vino del tipo Wine Writer e Wine Maker o Sommelier.

I vini Massavecchi, di Gravner, Radikon, Fasoli, Torboli, Maule, Cavalleri, Vallania, Gratena, De Bartoli, Foradori e tanti altri, sono la dimostrazione reale ed  evidente che è possibile creare del vino BUONO OLTRE IL GUSTO senza per questo danneggiare la salute. Il sottoscritto come piccolo capo oste si è fatto promotore da sempre, presso tutti gli osti veri (e già questo articolo lo è) della necessità di considerare ed acquistare sempre di più i vini con la dicitura senza solfiti aggiunti, e a non considerare nei vari aspetti i vini prodotti con la consulenza di Wine Maker dell'accolita banda collegata alla casta degli enologi alla Michel Rolland e dei Wine Writer  prezzolati (in cambio di pubblicità nelle loro riviste o guide) del tipo Parker e Wine Spectator negli Stati Uniti e Luca Maroni, scrittore e consulente del vino-frutto in Italia.

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