Le feste, siano esse laiche che religiose, sono sempre attese e vissute da ognuno di noi in modo diverso, sicuramente in questa società di consumi, si vede la festa, come momento per regalare e regalarsi qualcosa che  soddisfi anima e corpo.

Chi scrive fa l’oste da più di trent’anni e quando la maggioranza delle persone fa festa, ha sempre lavorato, divertendosi a somministrare vini e cibi, seguendo le tradizioni e le mitologie di chi ama la tavola in base alle proprie conoscenze e tradizioni.

Entriamo in argomento feste natalizie e di cibi e vini della memoria. Nitido il ricordo del nonno Guido, che alla fine degli anni ’70, per la parrocchia andava a questua da commercianti e contadini per ricevere cibo da offrire ai più poveri, mele, uova ed insaccati vari erano le cose essenziali da donare ai più bisognosi. Nelle tavole imbandite di chi stava un po’ meglio c’erano alla vigilia di Natale, il pesce azzurro e sicuramente il bisato ( anguilla) nonché cape del tipo canestrei, peoci e caparossoi, vietata la carne per osservare il digiuno cristiano.

Le altre feste registravano banchetti preparati con selvatico di valle e con le parti più nobili del maiale e del pollame, ed ecco: masorini, alzavole, cotechini e salami freschi profumati con aceto. Il cappone e la faraona impevarada erano un lusso ammesso in quei giorni, il tutto innaffiato dai vini dell’anno prima con la sola eccezione del novello di quei tempi chiamato “mostadura” un vino prodotto con i    ras-ciotti ( piccoli raspi) rimasti dalla precedente vendemmia che risultava amabile, con residui zuccherini non fermentati a causa del freddo invernale. La ristorazione classica, ancora non aveva la visibilità che inizierà dagli anni ‘80. Nel boom economico di quegli anni si fa largo la ristorazione qualificata che elabora le ricette della mamma e della nonna portando in tavola con creatività è fantasia piatti della memoria, sono gli anni della nouvelle cuisine, che da Paul Bocouse a Gualtiero Marchesi contamina la ristorazione della nostra penisola.

Merito della agiatezza economica, frotte di appassionati gourmet fanno la chiosa ai giudizi della rinomata guida Michelin e come una sorta di giro d’Italia enogastronomico eccoli ad assaggiare cibi e vini rivisitati in chiave pseudomoderna, piatti alleggeriti da succulenti sughi a favore di spume e mousse, vini meno corposi, ma più fruttati freschi e fragranti omologati però nel gusto, favorendo così la globalizzazione enologica del gusto stile Parker e WINES SPECTATOR, creando la moda dei vini barricati.

Siamo alla fine del secondo millennio, si impone nella scena enogastronimica italiana e mondiale il movimento di resistenza alimentare; Arcigola – Slow food, un movimento nato da uno sparuto gruppo di appassionati gourmet che come manifesto citavano la tutela e il diritto al lento e prolungato godimento del gusto enogastronomico, che raccoglie l’eredità del grande maestro di noi tutti “osti” Luigi Veronelli il quale citava in tempi non sospetti “ è meglio il peggior vino del contadino che il miglior vino d’industria” e ancora di Mario Soldati che con il suo VINO AL VINO esortava gli italiani a riappropriarsi del cibo e del vino dei territori regionali andando direttamente alla fonte. Seguendo queste linee nasce l’associazione delle ENOiTECHE della quale chi scrive ne è l’emerito presidente fondatore. Gli associati devono seguire un rigido decalogo di autodisciplina, fra tutti la valorizzazione delle piccole cantine di produttori diretti attraverso maratone degustative stappando anche per un solo bicchiere tutte le bottiglie del mondo.Slow – Food, attraverso la pubblicazione del sussidiario Mangiarbere all’italiana alias Osterie d‘Italia, rivaluta le cucine regionali e invita il consumatore a ritornare all’osteria, simbolo e presidio a tutela dei prodotti enogastronomici in via di estinzione.

Arriviamo ai nostri giorni di questo terzo millennio e a questi nuovi anni che si presentano di fronte a noi, pieni di incertezze economico sociali, porteremo comunque nei nostri cuori e “fegati” le esperienze passate, il bagaglio culturale di chi prima di noi ha superato tante crisi.

Tornando al cibo, al vino e alla nostra Venezia che ha già superato le crisi del Golfo e  dell’undici settembre, supererà adesso la crisi delle borse trasformando i danari in “ liquidi “ sogghignando al pensiero di quell’uomo senza canti, senza suoni, senza donne, senza vino che dovrebbe vivere una decina d’anni più di voi !  come recita una poesia di Giacomo Bologna, con la forza che Venezia trae dalla sua millenaria storia di accoglienza.

C’è comunque ancora una cattiva nomea su Venezia, “ si mangia male e si paga tant”, ma a mio avviso è un luogo comune che intendo sfatare invitandovi a provare, ad esempio, enoteche, osterie e ristoranti segnalati dalla nostra Venezia News, Venezia Osterie e dintorni, My local guide, nonché dalle varie guide: Osterie d’Italia, Espresso, Gambero Rosso, Michelin etc.

Occasione unica resta il cenone di San Silvestro. Sia che si faccia in casa che al ristorante, trattoria o osteria che sia… la tradizione veneto veneziana propone un menu abbastanza variegato e composito:

Antipasto a pesce crudo, tartufi di mare, ostriche, scampi, carpaccio di branzino e poi grancevola e canocie  e se si trovano le moeche; con i salumi si apre l’osacol (coppa) dell’anno prima e la soppressa de casata. Il prosciutto di San Daniele non può mancare.

Nei primi piatti avremo una pasta con le pevarasse o con gli scampi di Caorle nonché una zuppa di pesce o un broeto alla chioggiotta col pescato del momento atto a riscaldare lo stomaco per le pietanze che seguiranno.

Un secondo di pesce e uno di carne: di pesce sicuramente un branzino al sale rigorosamente dell’adriatico o un rombo nostrano con patate e capperi, di carne un filetto di sorana al rosmarino scottato tre minuti per parte o un guanciale di bue stufato. Come dessert panetton o pandoro con crema pasticcera o un classico tiramisù o cremini venexiani. Dopo la mezzanotte spazio alla tradizionale e beneaugurate pasta e fasioi. Altre consuetudini italiche la sostuiscono con la zuppa di lenticchie.

Come vino, senza esagerare con i costi consiglio un prosecco naturale COLFONDO o un tocai che non si sbaglia mai oppure un Pinòchesì ( Pinot bianco del Collio) e se vuoi na Malvasia dea Zia( Malvasia istriana), a seguire un Raboso del Piave con un minimo di 13 (gradi) Il migliore è quello di CASA ROMA. Per finire un Moscato d’Asti DOGC o un Verduzzo di ramandolo e/o Recioto rosso o bianco.

Per il botto finale senza esagerare un “Brut“ da fare un “Rut” “Che Va Zo Tut” di un trentino DOC da preferire a un Franciacorta a meno che non sia un Cà del Bosco o in sicurezza anche uno Champagne non millesimato di piccole maison.

Per un consiglio esagerato, “tra parentesi  meglio mangiarsi i liquidi a tavola che in borsa”, cercherei  per casa o al ristorante un menu con cibi e vini da provare almeno una volta nella vita (o sempre se si può).

Cibo: Ostriche, caviale, fegato grasso d’oca, tartufo bianco d’alba da elaborare in alcune ricette e per quanto riguarda il vino, vi invito a ricercare piccoli produttori biologici, biodinamici e biotut Lorenzon.

Ed eccovi un piccolo elenco di vini del cuore “ di produttori amici che amo” e che sono “ Buoni oltre il gusto “, nel senso che oltre a far bene allo spirito faranno bene anche alla pancia e allo stomaco diventando omeopatici e corroboranti sì da allontanare germi e microbi disorientandoli con la  forza della genuinità.

Per facilitare la Vostra ricerca suddividerò i nomi dei vignaioli per regione:

Dal Veneto: La Biancara Maule – Quintarelli – Zonta – Fasoli – Lispida – Costadilà Lorenzon – Serafini e Vidotto – Casa Roma –

                    Costepiane – Gregoletto – Nicos Brustolin.

Dal Friuli : Gravner – Radikon – Miani – Roncus – Dario Princic – Vodopivec – Zidaric – Kante – Specogna – Le Due Terre – Ronco del

                 Gnemiz – Damjan – Zanusso.

Dal Trentino e Alto Adige: Pojer & Sandri – Torboli – Peter Dipoli – Hadeburg – Stoker – Cantina produttori Terlano.

Dal Piemonte : Bartolo Mascarello – Giuseppe Mascarello – Giuseppe Rinaldi – Giacomo Conterno – Aldo Conterno – Vigneti Massa – 

                        Giacomo Bologna – Angelo Gaja.

Dalla Lombardia: Cà del Bosco – Enrico Gatti – Cavalleri.

Dall’Emilia Romagna: Vallania – Bellei Francesco & C. – Vittorio Graziano – Camillo Donati – Alberto Tedeschi – La stoppa.

Dalla Toscana: Soldera – Poggio di sotto – Avignonesi – Gratena – Bonci.

Dall’Abruzzo: Pepe – Valentini.

Dalla Sicilia: Occhipinti – Gulfi – De Bartoli – Buffa.

Concludo con un mio pensiero storico: “ Quando la semplicità non è banalità diventa eccezione “.

Venezia News dicembre, 2008

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